sabato 28 giugno 2014

CARTA DI BOLOGNA PER LA SOSTENIBILITA’ E LA SALUTE

CARTA DI BOLOGNA
PER LA SOSTENIBILITA’ E LA SALUTE


Per ulteriori informazioni e per aderire alla Carta di Bologna visitare il sito http://www.sostenibilitaesalute.org/  

PREMESSA
L’attuale modello di sviluppo, fondato su una crescita illimitata e indiscriminata dell’economia, senza attenzione all’equa redistribuzione della ricchezza e ai diritti delle persone, non è sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale, ma soprattutto non è in grado di assicurare la piena tutela della salute delle generazioni presenti e future.
Le Associazioni costitutive della RETE SOSTENIBILITA’ E SALUTE
condividono e sottoscrivono quanto segue:
1. Per proteggere, promuovere e tutelare la salute non è sufficiente occuparsi di servizi sanitari ma occorre, soprattutto, dar valore ed agire sui determinanti ambientali, socio-economici e culturali che influenzano la salute, nonché costruire un modello culturale, economico e sociale alternativo a quello in atto, non basato sulla crescita economica fine a se stessa.
2. La salute è intesa non solo come diritto da tutelare, ma anche come bene comune, di cui prendersi cura in modo attivo, attraverso la partecipazione responsabile e diretta delle persone e delle comunità anche nella definizione e nell’attuazione delle politiche.
3. I modelli di salute, sanità e cura devono porre al centro la Persona in continuo rapporto con il circostante ambiente fisico e relazionale. Devono favorire le capacità di resilienza, partecipazione e autodeterminazione dell’individuo e della collettività adottando un approccio che privilegi la cura del paziente piuttosto che della malattia e l’attenzione alla salutogenesi e ai determinanti della salute, piuttosto che alla patologia.
4. I temi della salute e della sanità devono essere affrontati attraverso un approccio sistemico, in modo da favorire l’interazione dei saperi, dei professionisti e delle organizzazioni. In questo contesto si sottolinea l’importanza dello sviluppare dialogo e sinergie tra la Biomedicina e le Medicine Tradizionali e Non Convenzionali.
5. E’ necessario contrastare la diffusione di prestazioni sanitarie prescritte in modo inappropriato; riconoscere i limiti della medicina e della scienza in generale, evitare il luogo comune secondo il quale per migliorare la salute fare di più significa fare meglio, impedire la medicalizzazione della salute e l’invenzione di false malattie a scopo di profitto.
6. Occorre sostenere la lotta alle frodi, alla corruzione e smascherare e combattere i conflitti d’interesse. E’ necessario favorire la completa indipendenza e trasparenza del sistema sanitario e del mondo della ricerca rispetto agli interessi del mercato e dell’industria, in particolare per quanto riguarda la diffusione e il commercio di farmaci, dispositivi medici e tecnologie sanitarie.
7. Si devono adottare forme di organizzazione e di gestione dei servizi sanitari basate sull’assistenza primaria e sull’integrazione con i servizi, le reti sociali e il volontariato, promuovendo il sistema di tutele e garanzie di comunità.
8. Per realizzare pienamente il dettato dell’articolo 32 della Costituzione e i contenuti della Legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è indispensabile che il SSN resti universalistico e sia adeguatamente finanziato attraverso la fiscalità generale e progressiva, al fine di rimuovere le diseguaglianze di accesso. Il finanziamento deve basarsi su un sistema che valuti i risultati in termini di salute e non la sola produzione di prestazioni. Di conseguenza occorre modificare i criteri di scelta dei Livelli Essenziali di Assistenza e di pagamento a prestazione.
Tenuto conto di quanto sopra esposto, le Associazioni firmatarie e fondatrici della RETE SOSTENIBILITA’ E SALUTE s’impegnano a:
a) Avviare un percorso di reciproca conoscenza, confronto e collaborazione riguardo ai temi attinenti alla salute, ai suoi determinanti e alla sostenibilità.
b) Sviluppare possibili sinergie, coerenti con quanto sopra enunciato, in modo da avvalersi dei contributi relativi agli specifici interessi perseguiti da ciascuna associazione, quali, ad esempio, l’avvio di progetti comuni di buone pratiche in ambito di ricerca, formazione, cura e cambiamento culturale.
c) Organizzare eventi di reciproco interesse.
d) Promuovere e attivamente patrocinare specifiche azioni volte a sensibilizzare e coinvolgere verso i temi di una salute sostenibile le istituzioni nazionali e sovranazionali.
e) Favorire lo scambio d’informazioni, esperienze e documenti tra i soci delle rispettive Associazioni.
f) Costruire una Rete, denominata “Sostenibilità e Salute”, al fine di attuare quanto sopra esposto.
Bologna, 14 Giugno 2014

Nuovi modelli anti-crisi: NASCE LA RETE SOSTENIBILITA' E SALUTE.


Nuovi modelli anti-crisi: Nasce la Rete Sostenibilità e Salute


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COMUNICATO STAMPA DEL 26 Giugno 2014
 NUOVI MODELLI ANTI-CRISI:
NASCE IN ITALIA LA RETE “SOSTENIBILITA’ E SALUTE”

Bologna, 26 Giugno 2014 – Mentre in Grecia si avvia al termine dei lavori la 3aconferenza internazionale “Health Economics”ventuno organizzazioni no profit italianesi uniscono in una Rete di coordinamento per affermare, tramite la sottoscrizione della ”Carta di Bologna”, un modello differente di salute e sanità, “realmente” sostenibile.
“In questi giorni ad Atene – ha dichiarato Jean Louis Aillon, portavoce della neonata“Rete Sostenibilità e Salute” si è parlato molto di come migliorare i sistemi sanitari, intervenendo sugli standard di qualità, attraverso valutazioni economiche volte a promuovere una maggiore efficienza finalizzata a risparmi di tipo economico. Il nostro punto di vista è nettamente differente: non è possibile pensare al miglioramento della sanità, senza prendere in considerazione il discorso della sostenibilità, in un’ottica più ampia e di lungo periodo. Non può, infatti, esistere nessun Servizio Sanitario Nazionale economicamente sostenibile in un mondo che è di fatto ecologicamente insostenibile. Dobbiamo interrogarci velocemente sul nostro modello di sviluppo: è adeguato a reggere le sfide del XXI secolo? Secondo noi assolutamente no, di qui la necessità di un immediato cambio di rotta – ha concluso Aillon – per affermare modelli concreti di sostenibilità nel campo della salute, la quale drena una parte davvero significativa delle risorse dello Stato e delle Regioni”.
Il modello della crescita economica senza limiti ha i giorni contati, non è più sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale, e non è in grado di assicurare la tutela della salute dei cittadini, in quanto minaccia gli equilibri stessi della vita sul pianeta. I cambiamenti climatici comportano rischi concreti per la salute umana, afferma Samuel Myers della “Harvard Medical School”, e i loro effetti indiretti metteranno a rischio la qualità della vita di centinaia di milioni di persone, generando costi enormi per i Sistemi Sanitari pubblici.[1] Dall’altra parte il New England Journal of Medicine indica con chiarezza il percorso da intraprendere: perché le popolazioni vivano in maniera sostenibile e in buona salute nel lungo periodo, il settore sanitario – afferma l’autorevole rivista – deve rimodellare il modo in cui le società umane pianificano, costruiscono, spostano, producono, consumano, condividono e generano energia”.[2]
Recenti studi confermano che su 2.500 prestazioni sanitarie supportate da buone evidenze scientifiche solo il 46% è sicuramente utile e il 4% è giudicato dannoso[3],  e che chi vive in regioni ad alta intensità prescrittiva sperimenta livelli di sopravvivenza peggiori di chi vive in regioni a bassa intensità prescrittiva.[4]
Occorrono secondo la Rete Sostenibilità e Salute una cultura e una società non basate esclusivamente sul paradigma economico del profitto e dell’efficienza fine a se stessa, e in grado di superare le disuguaglianze e favorire l’affermazione del diritto alla salute di tutti i cittadini e cittadine. Oggi più che mai, infatti, “curare” significa prendersi cura del pianeta su cui viviamo.
Su questi presupposti è stata sottoscritta la “Carta di Bologna per la Sostenibilità e la Salute”,[5] che formalizza la nascita della “Rete Sostenibilità e Salute”, composta inizialmente da ventuno associazioni attive da tempo nell’ambito della salute, che hanno deciso di unirsi per coordinare i propri sforzi su tutto il territorio nazionale.
“Nell’ottica della sostenibilità, spiega Aillon, i modelli di salute, sanità e cura devono porre al centro la persona, privilegiando l’attenzione al paziente. Integrazione tra saperi, interazione dei professionisti e delle organizzazioni, e importanza delle sinergie con le medicine tradizionali e non convenzionali, sono parole chiave importantissime. E’ indispensabile – ha concluso Aillon - che il Servizio Sanitario Nazionale, basato sulla prevenzione e sull’assistenza primaria, resti una risorsa per tutti, senza diseguaglianze di accesso, indipendente dalle influenze del mercatosulla base di un sistema che valuti i risultati in termini di ‘produzione di salute’ e non solo di numero di prestazioni sanitarie erogate”.
La Carta di Bologna – nello spirito dei fondatori della Rete – è un nuovo strumento nelle mani della cittadinanza, dei decisori della politica e degli operatori della salute che ne condividono gli intenti.
Media relation Rete Sostenibilità e Salute
- Portavoce: Jean-Louis Aillon – rete@sostenibilitaesalute.org – cell: 3287663652 – Skype: jeanlouisaillon
- Pagina Facebook: Rete Sostenibilità e Salute
per la visione degli spot visitare il sito  http://www.sostenibilitaesalute.org/ 
[1] Myers, S. S. and Bernstein, A. (2011) ‘The Coming Health Crisis: Indirect Effects of Global Climate Change’, F1000 Biol Rep, 3(1):3.
[2] McMichael, A. J. (2013) ‘Globalization, Climate Change, and Human Health’, N Engl J Med, 368:1335-43.
[3] Garrow, J. S. (2007) ‘How much of orthodox medicine is evidence based?’, BMJ, 335(7627), 951-951.
[4] Wennberg, J. E. (2011) ‘Time to tackle unwarranted variations in practice’, BMJ, 342.
[5] Per maggiori informazioni si veda il documento integrale allegato, disponibile anche a questo indirizzo: http://www.sostenibilitaesalute.org/?page_id=2





lunedì 16 giugno 2014

LOTUS ECO ELISE SOSTENIBILE

AUTO di CANAPA

AUTO di CANAPA 

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La Hemp Body Car, auto di canapa o Soybean Car di soia è un prototipo di automobile progettato da Henry Ford e ultimato nel 1941. La sua peculiarità era di essere interamente realizzata con un materiale plastico ottenuto dai semi di soia e di canapa, e alimentata da etanolo di canapa (il carburante veniva raffinato dai semi della pianta). È stata la prima vettura costruita interamente in plastica di canapa, più leggera ma anche più resistente delle normali carrozzerie in metallo.



AUTO ELETTRICA IN FIBRA DI CANAPA – Riprendendo l’idea della macchina in canapa di Henry Ford, l’azienda canadese Motive ha realizzato una nuova bio-automobile. Il veicolo, battezzato Kestrel, è alimentato da un motore elettrico e presenta la sua particolarità nella carrozzeria, che è completamente costituita da fibre di canapa. Presentata sul mercato nel 2012.





« Perché consumare foreste che hanno impiegato secoli per crescere e miniere che hanno avuto bisogno di intere ere geologiche per stabilirsi, se possiamo ottenere l'equivalente delle foreste e dei prodotti minerari dall'annuale crescita dei campi di canapa?»
Henry Ford





Unendo la passione per la natura a una indubbia capacità di imprenditore, Ford voleva realizzare una vettura che «uscisse dalla terra». In questo progetto impegnò i suoi migliori ingegneri, che dopo 12 anni di ricerca diedero forma concreta alla più ecologica delle automobili, il cui impatto inquinante era pari a zero. 



Il prototipo ultimato fu esibito nel 1941 al Dearborn Days festival di Dearborn, Michigan, città natale di Ford.
Fu anche presentato al Michigan State Fair Grounds, nello stesso anno. 











A causa della seconda guerra mondiale la produzione di auto in America si ridusse drasticamente e l'esperimento di una macchina con struttura di soia e di canapa si interruppe. Alla fine della guerra l'idea di Ford cadde nell'oblio. 

Inoltre, Henry Ford morì sei anni dopo, e nel 1955 la coltivazione della canapa venne proibita negli Usa, cosicché la Ford Hemp Body Car non entrò mai in commercio. Secondo Lowell Overly il prototipo dell'auto fu distrutto da Eugene Turenne Gregorie.

Alcuni ritengono che la proclamazione di leggi proibizionistiche nei confronti della cannabis negli Stati Uniti sarebbe stata legata anche alla concorrenza tra la nascente industria petrolchimica e la possibilità di usare l'olio di questa pianta come combustibile. Questo sarebbe dimostrato anche dalla riduzione dei prezzi del petrolio al 50% operata, secondo tali fonti, proprio per fare concorrenza all'olio combustibile naturale.

Altri sostengono che le ricerche sulla macchina di soia, in cui Ford investì milioni di dollari, non portarono ad alcun risultato. Un quotidiano riferisce pure che tutte le ricerche produssero panna montata come prodotto finale. Inoltre c'è chi sostiene che quest'auto non fosse prodotta unicamente dalla soia, ma anche da plastica di fenolo, un estratto di catrame.

Video sulla resistenza della carrozzeria in canapa.


giovedì 12 giugno 2014

CANAPA pianta antica e misteriosa, coltivata da millenni.

CANAPA: coltivazione.

Canapa pianta antica e misteriosa, coltivata da millenni.

 

La Columbia History of the World (1996) sostiene che tale intreccio di fibre è nato più di 10.000 anni fa!
Esistono molte prove in Carbonio che datano l’utilizzo della Canapa al 8.000 AC. Sappiamo con certezza che la canapa è stata coltivata in epoche antiche in Asia e il Medio Oriente.
In occidente la produzione commerciale di canapa è decollata nel XVIII secolo, anche se nell’Inghilterra orientale si coltivava già nel XVI secolo. A causa della espansione coloniale e navale dell’epoca, le economie necessitavano di grandi quantità di canapa per corde e stoppa.
Le fibre, tuttora largamente utilizzate dagli idraulici come guarnizione, sono state importanti grezzi per la produzione di tessili e corde. Per centinaia di anni, fino alla seconda metà del Novecento sono state la materia prima per la produzione di carta.
La coltura della canapa per usi tessili ha una antica tradizione in Italia, usata fin dall’antichità per tessuti resistenti e cordame. E’ molto legata all’espandersi delle Repubbliche marinare, che l’utilizzavano grandemente per corde e vele delle proprie flotte di guerra.
Anche la tradizione di utilizzarla per telerie ad uso domestico è molto antica, le tovaglie di canapa decorate con stampi di rame nei due classici colori ruggine e verde sono oggetti di artigianato che continuano ad essere ricercate ancora oggi.

La coltivazione agricola della canapa era molto comune nelle zone mediterranee e centro europee. Questa pianta cresceva su terreni difficili da coltivare con altre piante industriali (terreni sabbiosi e zone paludose nelle pianure dei fiumi), ed era la più polivalente ed a buon mercato.
Ci si producevano sostanze “oleose” (per illuminazione ed energia), “fibrose” (fibre tessili, vestiti, carta, corde) ed “alimentari” (farinacei e mangime per gli animali).
Durante i secoli del trionfo della vela e delle grandi conquiste marittime europee, la domanda di tele e cordami assicurò la straordinaria ricchezza dei comprensori, che rifornivano le canape di qualità migliori per l’armamento navale. In Italia eccelsero tra le terre da canapa Bologna e Ferrara. In queste zone ancora oggi sono visibili nella campagna i cosiddetti “maceri”, piccoli laghetti artificiali utilizzati per mantenere immersi in acqua.
Nel XVI secolo, Enrico VIII incoraggiò gli agricoltori a piantare ampiamente la canapa per fornire materiali per la flotta navale britannica. Era infatti necessaria una fornitura regolare di canapa per la costruzione di navi da guerra e dei loro componenti. Gli alberi delle vele, i ciondoli, i gagliardetti, le vele, e la stoppa sono sempre state fatte da olio e da fibra di canapa. La carta di canapa veniva utilizzata per le mappe ed anche per le Bibbie per i marinai di bordo.
Grazie alla qualità delle sue canape l’Italia divenne il secondo produttore mondiale ed assurse a primo fornitore della marina britannica.
Nel XVII secolo in America, gli agricoltori della Virginia, del Massachusetts e del Connecticut erano obbligati per legge a coltivare canapa indiana.
All’inizio del secolo XVIII, una persona poteva essere condannata se nei suoi campi non era coltivata la canapa! Per oltre 200 anni in America coloniale, la Canapa era anche valuta; si poteva quindi pagarci le tasse.
Un censimento del 1850 degli Stati Uniti documenta circa 8,400 piantagioni di canapa di almeno 1000 ettari.
Per anni, coltivatori di canapa raccoglievano a mano. Dopo anni di studi venne realizzata una macchina in grado di prendersi cura di tutti i processi, togliere i semi, rompere i gambi macerati e pulire la fibra. Questa macchina era in grado di risolvere drasticamente i costi e la fatica della manodopera. Dal 1920 la coltura della canapa era interamente gestita da queste macchine.

In 1896 Rudolph Diesel produsse il suo famoso motore. Come molti altri, Diesel presume che il suo motore dovesse essere alimentato da una varietà di combustibili, composta in particolare da ortaggi e oli di semi.








Henry Ford della Ford Motor Company vedendo il potenziale dei combustibili composti da biomassa lavorò per primo alla produzione di combustibile di canapa. Nell’impianto di Iron Mountain in Michigan gli ingegneri Ford estraevano metanolo, carbone combustibile, acetato di etile e creosoto, ingredienti tutt’oggi fondamentali per l’industria moderna.
Nei primi decenni del 1900 la Canapa subì una incredibile campagna denigratoria. Le sue caratteristiche naturali, come la resistenza, la proprietà di adattamento e la velocità di crescita apparivano come una minaccia agli occhi delle industrie concorrenti.
La pianta di Canapa fu associata da subito alla droga, diventando marijuana; nel 1936 uscì il film di propaganda “Reefer Madness”, che mostrava situazioni terribili e scandalose, quali sesso e promiscuità sessuale, efferati omicidi e suicidi, che venivano direttamente collegati all’atto di fumare la marijuana, e quindi alla canapa.
Nel 1937 il Congresso americano approvò il “Marijuana Tax Act” e per la Canapa iniziò un veloce declino; attraverso una impopolare tassa di concessione di licenze e regolamentazioni, venne di fatto resa impossibile la coltivazione della canapa. Anslinger fu il capo promotore della legge fiscale, che addirittura estese questa legislazione anti-marijuana nel mondo.
Durante la seconda guerra mondiale la Canapa visse un momento particolare. Dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor venne infatti interrotta l’importazione di canapa di Manila dalle Filippine. Di nuovo, attraverso un’operazione mediatica, con il film “Hemp for Victory (Canapa per la vittoria)” vennero motivati gli agricoltori americani a coltivare la canapa per lo sforzo bellico.
Il governo americano formò un’apposita società privata, chiamata “War Canapa Industries” per sovvenzionare la coltivazione di canapa. In totale venne coltivato 1 Milione ettari di canapa in tutto il Midwest.
Tuttavia, appena finita la guerra, tutti gli impianti di lavorazione della canapa vennero chiusi e in pochissimo tempo l’industria sparì nuovamente.
La definitiva condanna della Canapa si ebbe nel 1970 quando con il decreto “Controlled Substances Act” tutta la canapa fu riconosciuta droga. La lunga storia della canapa, economica, sociale e culturale, si perse così all’interno del nome marijuana.
Coltivare la Canapa era quindi diventato ufficialmente illegale.
I molti prodotti che vi si ottenevano a circuito locale vennero soppiantati delle industrie petrolchimiche di scala mondiale. Iniziarono così gli anni scuri dell’umanità, fatti di petrolio, di plastica ed accompagnati da interessi politici ed economici scellerati.
Fonte: Toscanapa